Antropologia culturale e contesti educativi
Qualcuno di voi lo ricorderà, qualcuno avrà partecipato o sarà stato seduto tra il pubblico. A Bologna, il 29 giugno scorso, nella sala conferenze del Dipartimento di Scienze della Formazione, le associazioni antropologiche italiane erano riunite in una giornata seminariale interamente dedicata al tema dell’antropologia nei contesti educativi. SIAC (la nostra associazione generalista), SIAA (la Società Italiana di Antropologia Applicata) e ANPIA (associazione rivolta alla professionalizzazione degli antropologi in Italia), facendo leva su una felice complementarietà di approcci e prospettive, hanno organizzato tre tavole rotonde su altrettanti ambiti di ricerca e intervento: l’istruzione universitaria rivolta agli insegnanti, la ricerca etnografica nei contesti educativi e la professione antropologica nei settori dell’educazione e della formazione. E’ stata un’esperienza importante, non solo per consolidare i rapporti inter-associativi, ma per tirare le fila di parecchi cantieri aperti, in cui gli antropologi e le antropologhe italiani sono oggi impegnati, cantieri che li mettono a confronto con varie forme di fare scuola, con svariati contesti della formazione, sia a livello universitario che extra-universitario, e con le sfide di un’antropologia capace di dialogare costruttivamente con il mondo del lavoro e di prendere sul serio il suo ruolo nella società. Vi proponiamo quindi un resoconto tardivo di questa esperienza e una buona visione dei video che sono stati girati nel corso del seminario.
Le tavole rotonde
L’incontro si apre con i consueti saluti istituzionali che tanto istituzionali, in fondo, non sono. Il Dipartimento di Scienze della Formazione di Bologna da anni è impegnato in dialoghi costruttivi con l’antropologia italiana, visto il lavoro che Matilde Callari Galli e il suo gruppo di ricerca hanno portato avanti in collaborazione con pedagogisti, psicologi dell’educazione, sociologi, scuole e territorio: dai servizi rivolti alla prima infanzia all’istruzione superiore. A ricordare questo ruolo simbolico di Bologna nella costruzione di un’antropologia italiana applicata ai contesti educativi è Giovanna Guerzoni. Al tavolo la affiancano per i saluti iniziali Ferdinando Mirizzi e Mara Benadusi, mentre Ivan Severi interviene via skype. I presidenti delle tre associazioni ringraziano per il caldo benvenuto il Direttore del Dipartimento Roberta Caldin e la delegata del Prorettore per la formazione degli insegnanti Lucia Balduzzi, ribandendo l’importante peso politico che questo campo di ricerca e formazione ricopre oggi nel nostro paese.
La mattinata lascia quindi spazio alla prima delle tavole rotonde, coordinata da Stefano Allovio e dedicata all’esperienza dei 24 cfu per l’accesso all’insegnamento nella secondaria superiore. Finita l’edizione PRE-FIT 2017/2018 i partecipanti alla tavola rotonda discutono un primo monitoraggio sull’attivazione di questi corsi a livello nazionale, promosso dalla SIAC nei mesi precedenti. Si tratta di un ambito di applicazione delle discipline M-DEA che costituisce senz’altro un riconoscimento importante del ruolo dell’antropologia nella preparazione dei docenti, ma l’esperienza è stata costellata anche di difficoltà. Nel corso dei brevi interventi che si susseguono al tavolo vengono cosi’ messi in luce opportunità e limiti dei percorsi formativi e in chiusura si da spazio al dibattito.
L’interesse dimostrato dagli studenti del mio corso FIT in particolare per l”etnografia e le metodologie etnografiche mi fa ben sperare. Penso che se, attraverso questi corsi, riuscissimo almeno a far “filtrare” qualche goccia di una sorta di “concentrato di metodologia etnografica” o a trasmettere un po’ di “sensibilità antropologica” ai futuri professori sarebbe un successo importante. Lo sarebbe indubbiamente se riuscissero, per esempio a sviluppare la capacità di individuare i momenti di interazione, i dialoghi e i particolari significativi verso i quali orientare l’osservazione all’interno delle dinamiche che si attivano nelle classi o fuori dalle classi. (Filippo Lenzi Grillini)
La seconda tavola rotonda, coordinata da Bruno Riccio e preparata dalla SIAA, sposta il focus del seminario sulla ricerca etnografica e l’applicazione. Negli ultimi 60 anni in Italia si è sviluppato un importante settore di analisi antropologica rivolto ai contesti educativi: dalla scuola all’extra-scuola, dalla prima infanzia all’adolescenza. La sessione rappresenta un momento di confronto corale sugli aspetti più rilevanti emersi da queste indagini, per valutare come possano essere declinati in chiave applicativa e utilizzati ai fini della formazione di coloro che operano nei mondi della scuola e nei vari settori dell’educazione e della formazione professionale. Razzismo, violenza e diversità (religiosa, etnica ma anche di genere e generazionale) i fuochi tematici intorno a cui si è snodata la discussione.
Le cose più importanti da insegnare a chi deve insegnare sono quelle comuni a qualunque altro corso di base:
1. La cultura non è un accessorio ma un elemento costitutivo della “personalità” dell’individuo: non si sedimenta su un sostrato bio-psico-sociale che lo precederebbe, ma è la forma reale del naturale.
2. Le culture non sono pacchetti preconfezionati, isolati, compatti e distinti. C’è tanta diversità dentro una cultura quanta ce n’è tra culture: uscire dal monadismo culturale e puntare sulla rappresentazione poliedrica (genere, classe, istruzione, competenze, subculture, marginali)
3. Le culture sono in movimento nel tempo e nello spazio: abbattere la retorica delle Radici e delle Tradizioni, che giustificano il “questa è casa nostra” e “aiutiamoli a casa loro”.
4. L’apprendimento è un movimento attivo e bidirezionale: la comprensione (intra- inter- o trans-culturale) è sempre un faticosissimo lavoro dialogico che va impostato coltivando l’etnografia come attenzione all’ascolto (contro l’empirismo ingenuo dell’osservazione: uscire dalla finzione del visuale e tornare alle metafore uditivo/sonore del dialogo).
5. La differenza culturale non è mai agevole, anzi, ci procura disagio, visto che pretende un surplus analitico ed emotivo che consuma energie mentali e morali. NON è vero che la differenza è bella, il più delle volte è una rogna. L’antropologia culturale non può insegnare ad addomesticare quella differenza, che tale è, nei fatti. Quel che possiamo insegnare con l’antropologia culturale è fare i conti con quel disagio, imparare a conviverci, a gestirlo senza che degeneri. (Piero Vereni)
Infine, chiude la giornata la tavola rotonda organizzata da ANPIA sulle professioni educative. A coordinarla è Lucia Portis, che interviene insieme ad altri colleghi e colleghe della commissione Educazione e Scuola ANPIA. Nel corso della sessione si discute del ruolo che la formazione antropologica gioca nelle diverse professioni dell’insegnamento e dell’educazione. Un buon numero di professionisti che operano in questo ambito si avvale di una formazione di alto livello in ambito antropologico, che ancora non viene sufficientemente riconosciuta e valorizzata. Al tavolo la commissione ANPIA illustra i passi che si stanno facendo verso una maggiore professionalizzazione nel settore.
La giornata finisce con un veloce scambio in sala e la promessa di tornare presto a ragionare sul ruolo dell’antropologia nei contesti educativi.
I contributi più rilevanti che i saperi antropologici possono offrire a educatori e insegnanti sono per me due. Il primo, e ovvio, è l’educazione alla diversità culturale. Qui c’è un lavoro, diciamo, di retroguardia da fare. Tanti aspetti che per noi possono apparire banali (sensibilità anti-etnocentrica, critica delle categorizzazioni identitarie etc. etc.) sono ben lontani dall’esser passati dentro il mondo della scuola. Il secondo contributo riguarda l’etnografica della vita quotidiana dentro la scuola, e la possibilità di evidenziare aspetti delle relazioni educative (rapporti e comunicazioni tra insegnanti e studenti, le relazioni in classe, l’organizzazione degli spazi e dei tempi , le ritualità, le assunzioni di ruolo etc.) che sfuggono completamente alla consapevolezza pedagogica e alla formalizzazione delle programmazioni didattiche. (Fabio Dei)