Nel 2014 riceve il “Premio Francesca Cappelletto” (SIAA e Università degli Studi di Verona) per la migliore tesi magistrale nell’ambito dell’antropologia applicata allo spazio pubblico.
Nel 2015 si diploma presso la Scuola Romana di Fotografia e Cinema, dove frequenta il Master in “Reportage e ricerca personale creativa”. Si avvale della fotografia quale ulteriore strumento di indagine, interpretazione e rappresentazione della realtà, cercando i punti di contatto tra etnografia e ricerca visuale.
Dal 2017 tiene seminari e workshop su antropologia e fotografia (V Convegno SIAA – Catania; II Festival dell’Antropologia – Bologna; Università di Ferrara).
Il Gran Chaco costituisce la maggiore area boscosa del continente latinoamericano dopo l’Amazzonia. In Argentina rappresenta la più estesa area forestale del paese e la più pregiudicata da politiche di sfruttamento irrazionale del patrimonio ambientale e delle risorse naturali, che compromettono la sua importante biodiversità, eterogeneità sociale e diversità identitaria, minacciando l’esistenza stessa dei suoi abitanti.
Il viaggio verso la regione del Gran Chaco, è un percorso di rottura: qui il Nord è un Sud, una geografia dai poli invertiti, un ordine transitorio, complesso, mutevole.
Il Chaco attrae e spaventa, accoglie e disorienta; è odore di terra e sangue, alcol e foglie di coca, latte materno e sudore. È desiderio di acqua e giustizia.
Nel Chaco si entra, dal Chaco si esce. Così dice chi abita le sponde del fiume Pilcomayo, che divide l’Argentina dal Paraguay, come se dove finisce la strada asfaltata e comincia la foresta, un mondo lasciasse il posto ad un altro: la Terra, che gli Wichí chiamano Honhat, il bene più prezioso e precario per le popolazioni indigene e per i campesinos che abitano la regione, coinvolti da decadi in una dura lotta politica per l’ottenimento dei titoli di proprietà delle loro terre, delle quali con forme distinte ma relazionate, mutevoli ma persistenti, vivono, trasformando lo spazio in territori culturalmente organizzati, coesistendo con gli spiriti, le piante, gli animali, la foresta e il fiume.
Il progetto fotografico Honhat – Il Nome della Terra è parte di un ampio lavoro di ricerca etnografica iniziata nel 2009 e riguardante i diritti alla terra e le rivendicazioni territoriali dei popoli indigeni e delle famiglie rurali nella regione del Gran Chaco.
Viene esposto nel 2013 a Buenos Aires, nell’ambito del “II Encuentro Mundial del Gran Chaco Americano”, e nel 2014 proiettato a Roma, durante la rassegna “Materiali di Antropologia Visiva –MAV”.
Nel 2015 è stato selezionato per il festival internazionale di fotografia “Paraty Em Foco” (Brasile), pubblicato su Visual Ethnography vol.4 n.1, finalista nel programma Lucie Foundation Scholarship (U.S.A.) e selezionato nel 2016 per “Les rencontres de la Asociation de Recherche et production d’images en anthropologie et art” (Francia). Nello stesso anno è stato presentato nell’ambito del Secondo Congresso Internazionale “Los Pueblos Indígenas de América Latina” (Argentina).
Nel 2017 è stato pubblicato su National Geographic Italia.