È la natura che fa tutto qui. A noi spetta solo gestirla un poco. Pietro, 38 anni, pescatore
Delle molte strade che attraversano la pianura lungo le sponde del Po, quante sono costruite sull’acqua? Quante proseguono nel mare? Osservato dall’alto, il territorio del Delta disegna precise geografie lineari, figure simmetriche che mettono in risalto l’intenzione dell’uomo di addomesticare il territorio; dal basso, invece, lo sguardo diventa evocativo, si perde all’orizzonte e vaga alla ricerca di punti d’appoggio. In questi luoghi, le più recenti tecnologie agroalimentari si mescolano a casolari abbandonati e a lunghe distese immobili e silenziose. Il paesaggio è qui quel “luogo dall’attenzione infinita” di cui parlava Luigi Ghirri in Strada Provinciale delle anime di Gianni Celati (1991), richiamandosi all’impossibilità di delimitare un punto preciso per definire un ambiente, creando così una circolarità della visione che mai si conclude. Eppure c’è chi si orienta, in uno spazio alla visione così rarefatto e sospeso, con una precisa cartografia, le cui coordinate emergono anche dalla superficie delle acque: sono i pescatori e i raccoglitori di molluschi che, dalla Sacca degli Scardovari fino a Porto Garibaldi, passando per Goro e Gorino, lavorano lungo la costa lagunare del basso delta del Po.
Strade nel mare è una ricerca foto-etnografica che mira a esplorare una realtà la cui identità socio-culturale e ambientale è in continuo dialogo con quella produttiva, con antiche forme di uso del territorio e modalità innovative di produzione alimentare sostenibile. In questi luoghi, giovani pescatori uniscono tecniche tradizionali e nuove tecnologie per tutelare un ambiente plasmato dalle attività produttive ittiche, in particolare dalla filiera legata alla pesca costiera e alla molluschicoltura. Partendo dalla tradizionale pesca dell’anguilla e dall’allevamento di cozze di Porto Garibaldi, caratterizzati da un laborioso processo di selezione, pulitura, raccolta e vendita all’asta del pescato, questo lavoro vuole essere il tentativo di osservare i recenti cambiamenti che caratterizzano il paesaggio del Delta attraverso i volti e le storie di chi lo abita.
Risalendo la costa verso nord si incontrano ad esempio i coltivatori del mare del Consorzio dei Pescatori di Goro (Copego), una delle realtà più fertili di acquacoltura in Italia, con 585 soci e un allevamento che si estende per circa 600 ettari nelle acque salmastre della Sacca di Goro. L’attività principale qui è l’allevamento di molluschi, in particolare della vongola verace filippina (ruditapes philippinarum), una specie alloctona importata in queste acque negli anni Ottanta. Non si tratta in questo caso di una convenzionale attività di pesca, bensì di una vera e propria “coltivazione del mare”: i pescatori-coltivatori si occupano di tutto il processo di crescita delle vongole; seminate, spostate ciclicamente da un’area ad un’altra più adatta all’accrescimento e, una volta raccolte, purificate allo Stabulario, un impianto di depurazione tra i più antichi d’Italia. Il lavoro cooperativo dei coltivatori d’acqua si interseca con un ambiente che, come ci raccontano mentre ne percorriamo i tracciati, “va curato, cambia continuamente e non rimane mai lo stesso”. Un delicato processo, che in queste acque necessita di essere sostenuto da una costante attività di ricerca e selezione di diverse specie di molluschi: è questo il caso di Naturedulis, un centro di ricerca di Goro che, accanto alle attività di analisi e consulenza di igiene alimentare, si impegna nella produzione di microalghe selezionate, fondamentali per accompagnare la nutrizione e lo sviluppo delle larve. Il centro ospita anche uno schiuditoio del novellame, certificato “bio”, nel quale vengono prodotti i semi di piccole vongole veraci e mitili, poi indirizzati all’allevamento biologico in mare. La ricerca si conclude esplorando visivamente le strade nel mare tracciate dagli allevamenti di mitili nella Sacca degli Scardovari, un esempio di antropizzazione del paesaggio che si confronta con un ecosistema tanto prezioso quanto fragile. Così osservati, questi luoghi si mostrano come geografie socio-produttive complesse, che ci parlano di un “mare abitato”: un territorio che, all’interno dei suoi tratti naturalistici e morfologici, è socialmente e culturalmente co-prodotto tanto dall’uomo, quanto dalla flora e dalla fauna che lo vive, lo attraversa e lo plasma nella sua singolare bellezza.